Carmelo di Mazzarelli
attore senza saperlo
Storia di un PescAttore
La Sicilia nello sguardo e nella pelle salmastra, nel volto i segni del sole impressi negli uomini del sud, a volte come carezze, a volte come cicatrici. “Meno u ciacciaruni”, così era conosciuto Carmelo di Mazzarelli, impavido e intraprendente mazzariddaro, vive la vita inventandosi 1000 mestieri, il tempo di pensarli superato da quello di realizzarli.
Con una bicicletta si avviava su per viottoli e strade inerpicate, per vendere pesce fresco, prelibatezza della sua terra. Con l’afa e il solleone, fino a raggiungere le campagne, meta preferita dei nobili siciliani in estate. “Che quelli neanche a cannonate scendono al mare”, diceva in un benevolo rimprovero.
Contrabbandiere con orgoglio
Animato dalla volontà di far del bene per la patria, quando nella seconda guerra mondiale “gli americani portavano solo cioccolata e caramelle”, si improvvisa contrabbandiere di medicine. Oltrepassa il fronte per recuperarle, portatore di speranze e atteso salvatore al suo rientro in paese. Imprestò la sua Balilla, comprata dopo la guerra, al commercio ambulante del pesce. Da audace garzone ad un manubrio, divenne impresario pescivendolo di mestiere. Andò dal “mastro di carretti” più bravo in circolazione e commissionò la “revisione” della sua Fiat. Divenne così un furgone adibito al trasporto del pesce. Le cassette stipate sui sedili, a dispetto della gelosia propria di ciascun pilota che li custodisce lucidi e profumati.
Ma quando il destino ha un appuntamento con te, ti trova anche a Marina di Ragusa, puntuale senza ritardi, mentre a 75 anni fai il bidello in una scuola. Il grande regista Gianni Amelio per il suo film Lamerica, commissionò che si trovasse un personaggio verace, un siculo autentico. Un uomo scelto tra il popolo che non si facesse impallidire dalle luci del set. Un talento spontaneo da poter annoverare negli archivi del cinema come un artigiano attore, un umile protagonista alla ribalta.
Un volto da film
Potevano solo innamorarsi di Carmelo Carnemolla, in arte di Mazzarelli, un concentrato di genuina vitalità, presenza scenica come se dalla nascita ebbe per culla un sipario. Lo portarono a cena fuori per convincerlo ad un provino per il primo film della sua vita. Lui che non aveva neanche capito le buone intenzioni e l’interesse benevolo delle maestranze dello spettacolo. Ammaliati da quell’animale da cinema, dalla sua voracità e ardore di vivere, ostinati nel volerlo a tutti i costi.
Giuseppe Tornatore, siciliano da oscar, lo sceglie per L’uomo delle stelle, un film che sembra ripercorrere al contrario la sua carriera: un cialtrone romano ruba i sogni e le speranze di tanti abitanti di paesini siciliani. Gli incauti gli affidano confessioni, monologhi a cuore aperto, credendo di fare un provino per il cinema e tentare la strada del successo. Con il suo furgoncino a caccia solo di contanti, il falso imprenditore, ladro di anime non solo di denaro, calpesta l’essenza vera della sicilianità. Intrisa nell’espressione nei volti, nelle mimiche, nelle parlate dialettali di pura poesia. La commovente rappresentazione del vecchio paralitico di Carmelo di Mazzarelli, è l’incarnazione del messaggio del film: la metamorfosi involontaria da emozionati analfabeti, ad attori degni di medaglia.
La carriera tra le stelle
I fratelli Taviani lo vogliono in Tu Ridi, Pasquale Scimeca in Placido Rizzotto. In televisione, i suoi compaesani l’hanno ammirato negli episodi del Il Commissario Montalbano. Bisognerebbe scrivere un copione ispirato alla sua vita. Ragusa sullo sfondo, racchiusa tra cielo e mare, tra aliti di vento caldo al profumo di agrumi, in cui si avvicendano le gesta di un attore promesso, prestato per caso a tanti mestieri. Inconsapevole di riuscire così bene nell’unico lavoro per cui non si era preparato.
Carmelo di Mazzarelli, potrebbe essere un volto raffigurato nei quadri di Guttuso, stesse radici del profondo sud, in cui la natura si mostra senza inganni tra le pieghe del viso, arido e assolato, dal sorriso dipinto a contrasto. Muore a 92 anni e non sentirli, e ci lascia il più bello degli insegnamenti: ciascuno, interprete di sé stesso, è attore. Improvvisato, principiante o primo in scena, con la spontaneità in tasca, è libero di inventare il proprio copione.
Articolo estratto da Metropolitan Magazine del 13 giugno 2020
di Federica de Candia